Negli atenei italiani si sta assistendo ad un progressivo calo nelle immatricolazioni: se nel 2003-2006 la percentuale di coloro che accedevano al sistema universitario era pari al 56%, nel 2007/2008 è scesa al 50,8%, per poi toccare, nel 2009/2010 il 47,7%.
La ragione della diminuzione nelle iscrizioni, secondo Luigi Biggeri, presidente del Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), potrebbe essere questa: «È cambiato l'atteggiamento culturale delle famiglie. Una volta si cercava nella laurea la promozione sociale, ora ci si è resi conto che proseguire gli studi nella maggior parte dei casi non permette di fare alcun salto di classe sociale»(*). Il rapporto rileva inoltre che, tra le prime 500 università internazionali, solo 15 sono italiane. Il primo ateneo italiano nella classifica è l'università di Bologna (176° posizione), seguito dall'Università La Sapienza di Roma (190°) e dall'Università di Padova (261°). Complessivamente il sistema universitario italiano si colloca al quinto posto in Europa e al decimo nel mondo.
La fuga dagli atenei non è però generalizzata e riguarda soprattutto le università pubbliche. Gli studenti più bravi, usciti dalla maturità con un voto superiore a 90 preferiscono iscriversi in università private come la Luiss a Roma (con il 68,1%), la Bocconi di Milano (con il 58,0%), il Campus Biomedico di Roma (con il 52,6%) e il San Raffaele di Milano (con il 52,5%).
Un altro dato interessante riguarda il calo degli iscritti proprio nei territori dove c'è più occupazione: nelle province di Teramo, Bologna, Isernia e Rieti, dove non ci sono alternative, ci si iscrive all'università, mentre a Catania, Sondrio e Vercelli, dove è più facile trovare lavoro, si preferisce mettersi alla ricerca di un impiego se non si è convinti di proseguire gli studi. La causa di ciò, sempre secondo Biggeri: «È il fallimento di questo modello di università ma anche del mercato del lavoro e della capacità di creare lavoro da parte delle imprese».
Si assiste così ad un forte calo di laureati e soltanto il 32,8% degli studenti consegue la laurea triennale. Resta alto il numero degli studenti fuori corso (4 su 10), e gli “immatricolati inattivi”, ovvero coloro che non hanno dato nemmeno un esame nell'arco dell'anno accademico, raggiungono il 13,3%.
Il Rapporto del Cnvsu riflette anche la situazione del corpo docenti all'interno delle università italiane. Quasi il 50% dei professori ordinari supera i 60 anni di età e oltre il 20% ha più di 65 anni. L'aumento dell'età media dei docenti provoca un allarme nei pensionamenti poiché nei prossimi 5 anni i docenti che smetteranno di insegnare saranno 14mila.
Tra i professori universitari, la presenza delle donne è minoritaria e pari al 20% del corpo docenti.
Desirée Noto
4 gennaio 2011
Foto di James Sarmiento