Se qualcuno pensa di poter liquidare l'argomento in due parole, allora non sa di che parla.
L'abolizione del valore legale del titolo di studio è un argomento complesso sul quale si fatica da anni a trovare una linea.
Partiamo dall'inizio: cosa vuol dire? Per spiegarlo ricorriamo al dossier del Senato della Repubblica (n.280, marzo 2011) che lo definisce così: "Con l'espressione "valore legale del titolo di studio" si indica l'insieme degli effetti giuridici che la legge ricollega ad un determinato titolo scolastico o accademico, rilasciato da uno degli istituti scolastici o universitari, statali o non, autorizzati a rilasciare titoli di studio".
Gli effetti giuridici sono essenzialmente due:
1. il passaggio a gradi superiori di istruzione (ad esempio, per laurearmi devo essermi prima diplomato)
2. l'accesso ad alcune professioni (avvocato, medico, notaio, commercialista, e così via).
Diciamo subito che il primo punto non è in discussione, mentre sul secondo la questione è aperta.
L'accesso a talune professioni è vincolato al superamento di un esame di Stato, al quale possono partecipare solo certi profili di laureati. Ora, non è detto che un laureato in matematica non possa fare il commercialista, anzi, e ancora di più un diplomato in ragioneria. Ma almeno in teoriala laurea rappresenta una garanzia di preparazione di base di quel futuro professionista, a cui si aggiungono alcuni anni di pratica e un esame di Stato. Il solo esame di Stato non è oggi sufficiente a giudicare il livello di preparazione, per non tacere del fatto che gli stessi esami sono diversi, per difficoltà e numero di promozioni, da un luogo all'altro. Il sistema che prevedesse il libero accesso alle professioni dovrebbe quindi avere un esame in grado di verificare più profondamente se il candidato sia davvero in grado di svolgere quella professione a cui aspira.
Un altro aspetto importante e conseguente al valore legale è l'accesso alle carriere della pubblica amministrazione. Questo punto lo consideriamo più semplice, dato che per una cattiva prassi l'opinione pubblica è già d'accordo - anche se non completamente a ragione - per l'abolizione. La cattiva prassi è quella che ha visto molti impiegati pubblici cercare una laurea facile per ottenere una progressione di carriera - e quindi di stipendio - automatica, e al di là di considerazioni di merito.
La riforma avrebbe poi effetti sui concorsi pubblici, in cui al momento tutte le lauree sono equiparate e i punteggi dipendono quasi esclusivamente dal voto. L'eliminazione del valore legale, infatti, consentirebbe alle commissioni giudicatrici di dare pesi diversi agli Atenei di provenienza. Questo sarebbe indubbiamente un vantaggio, che pone però un problema: chi giudica? sulla base di quali criteri?
In conclusione, bene ha fatto Monti ad aprire oggi un vasto confronto pubblico, attraverso il sito del Miur perchè questo è anche un buon modo per obbligarci a informarci e a prendere posizione. Da parte nostra vi consigliamo di partecipare.
Raffaella Giuri
22 marzo 2012
Foto di AlanHudson