Fino a qualche tempo fa era un «pass» indispensabile per trovare un buon lavoro, oltre che simbolo di cultura e prestigio. Oggi è considerata poco più di un pezzo di carta.
Stiamo parlando della laurea e di quello che significa per i giovani che pure passano o hanno passato buona parte della loro vita recente nelle aule universitarie. E che ora sono quasi tutti disillusi sulla possibilità che un titolo accademico possa essere un valore aggiunto per ottenere un’occupazione.
«Non penso affatto che l’università sia un canale privilegiato per trovare lavoro», esordisce Annarita, 27 anni, laureata in Economia del turismo, non occupata, «anzi, in un momento di forte sfasamento tra domanda e offerta di lavoro tende a privilegiare chi non ce l’ha». Parte della responsabilità è dell’università stessa: «Mancano la selezione all’ingresso, l’orientamento in entrata e una cultura dello studio finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro».
A puntare il dito contro il nostro sistema universitario è anche Sabrina, ventisettenne, attualmente impegnata in un master di secondo livello in logistica integrata e trasporto merci: «Gli atenei “sfornano” troppi laureati che non riescono a immettersi nel mondo del lavoro a causa della poca praticità dell’università stessa. Le lezioni si basano troppo sulla teoria, sono pochi i casi di studio pratici». Sabrina ha svolto parte del master all’estero, presso il Dublin Institute of Technology (D.I.T.), e assicura che «lì gli studenti durante le lezioni mettevano subito in pratica quanto appreso, cosa che non succede spesso in Italia».
Più che una preparazione accademica è soprattutto l’esperienza accumulata nella pratica a dare la «marcia in più», secondo Laura, 35 anni, laureata in Scienze dell’educazione e impiegata nell’ambito del retail: «Sta al laureato orientarsi verso un campo piuttosto che un altro seguendo corsi di formazione o frequentando stage».
Ma cosa manca all’università italiana per fare il salto di qualità e accrescere le chances occupazionali dei giovani? Nicola, ventiquattrenne laureando in organizzazione e gestione del patrimonio culturale e ambientale, è molto chiaro: «Innanzitutto un sistema meritocratico che favorisca gli studenti più bravi e meritevoli con forti sconti sulle tasse e la possibilità di proseguire il proprio percorso con borse di studio e premi di laurea. È necessario, poi, attuare uno "snellimento" della burocrazia, ma soprattutto migliorare il passaggio tra università e mondo del lavoro. Non è facile, è vero, perché bisogna trovare accordi con aziende e datori di lavoro, ma penso che questo sia uno dei nodi cruciali per migliorare la situazione delle università italiane. Mi sembra ridicolo leggere annunci di lavoro in cui si cercano persone "max 26 anni", laureate e con 2 o 3 anni di esperienze lavorative pregresse. Bisogna migliorare questa situazione partendo proprio dai rapporti tra università e mercato del lavoro ed evitare fastidiosi sfruttamenti».
L’unica voce fuori dal coro è quella di Lindy, 28 anni, originaria del Camerun, con una laurea in Giurisprudenza, un master in diritto dell’ambiente e un dottorato di ricerca quasi in tasca: «Sì, credo ancora nel valore della laurea, è un must per trovare lavoro. Quello del sistema universitario italiano è solo un problema di mentalità e di valorizzazione delle risorse a lungo termine. Spezzerò una lancia a favore del vostro Paese: uno studente che ha vissuto le difficoltà dell'università come adesso, ne esce subito agguerrito e disposto a raccogliere qualsiasi sfida in Europa. C' è tanto da fare ancora».
Un messaggio sicuramente positivo da parte di chi, nonostante crisi, carenze e disoccupazione, ha investito e continua a investire sui libri per il proprio futuro.
Chiara Del Priore
15 novembre 2011
Foto di RalphandJenny