Attualmente nell’Unione Europea le donne rappresentano il 50% dei laureati nella maggior parte dei settori disciplinari e, dal 1990 a oggi, il numero di rappresentanti del “gentil sesso” è notevolmente cresciuto, soprattutto nelle facoltà scientifiche.
Tuttavia, proprio per questi corsi di laurea, le donne continuano a essere indietro rispetto agli uomini quanto a numero di iscrizioni e, di conseguenza, di posti di lavoro occupati.
Il nostro magazine ha pubblicato di recente sulla propria pagina Facebook un sondaggio, chiedendo perché alle ragazze non piace la scienza o, meglio, perché le donne che studiano scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, pur in aumento, sono sempre meno rispetto agli uomini.
Cosa è venuto fuori? Alessia ha 27 anni, è nata e cresciuta a Palermo, dove frequenta la laurea magistrale in relazioni internazionali e studi europei.
Ha anche concluso da poco un contratto a progetto di tre mesi come assistente program manager nell’ambito della progettazione di mobilità internazionale. Alessia è fermamente convinta che la minore presenza delle donne in ambito scientifico è legata al fatto che la società educa ancora le ragazze in modo stereotipato, scoraggiandole a compiere percorsi che possono sembrare più ostici o adatti agli uomini: “ritengo -dice- che le ragazze non vengano ancora indirizzate all'idea di poter fare o essere qualunque cosa. Generalmente (per non dire stupidamente) si giustifica una scarsa presenza femminile nell'ambito scientifico come un deficit di capacità delle ragazze, ma in realtà il deficit è nella motivazione che le ragazze hanno. E ritengo sia un deficit assolutamente indotto. Dalla famiglia, dalla scuola, dalla società in cui si cresce. Se un adolescente viene a dirci che vuole fare il matematico ci concentriamo sull'interesse della materia, mentre se un'adolescente vuole fare il fisico teorico pensiamo che indipendentemente dalle sue capacità avrà vita dura”. Cosa bisognerebbe cambiare, allora? “Bisogna ritenere necessaria una vera politica che obblighi a un maggiore coinvolgimento delle donne in tutti i campi. Le cosiddette "quote rosa" che tanto le femministe sdegnano in questo Paese soprattutto sono un modo per poter cambiare il mondo del lavoro. A quel punto anche la mentalità dovrà pur cambiare”, spiega.
Alla parola “stereotipo” Paolo, 28 anni, solution leader a Milano per una multinazionale dell’informatica, aggiunge la parola “pregiudizio”: “A decenni di distanza ancora non esiste una reale parità. La società, gli istituti scolastici e la realtà dei fatti nel mondo del lavoro di certo non facilitano l'eliminazione di questo stereotipo. La conseguenza peggiore è che, se per decenni si vive in una società che direttamente o indirettamente afferma o conferma il binomio donna-umanistica e uomo-scienze, le studentesse nella scelta del percorso di studi verranno influenzate dalla società stessa”. Fondamentale, per Paolo, è puntare sugli incentivi all’occupazione femminile: “Le donne devono poter vedere un futuro dopo gli studi scientifici. Istituti e aziende dovrebbero essere obbligate ad assumere determinate categorie, in modo da spronare le donne a seguire un percorso di studi alternativo”.
Daniela è una trentenne che vive a Napoli e sta per laurearsi in scienze degli alimenti e della nutrizione. Per lei non sempre c’è una regola: a volte sono le stesse donne a tirarsi indietro nel corso dei propri studi; in altri casi, invece, mancano le opportunità per un’effettiva affermazione: “A volte le ragazze si fermano al primo ostacolo o si lasciano influenzare da vicende della propria vita, senza avere la determinazione e la costanza del dover proseguire e perseguire. È pur vero, però, che molto spesso è la donna di sua spontanea volontà ad abbandonare tali lavori perché sottomessa e sottopagata”. Le soluzioni, però, ci sono: “Partendo dall'istruzione e dalla formazione, è strettamente necessario la giusta e approfondita conoscenza delle materie, già nelle basi di un percorso di studi e ancor di più quello universitario. Inoltre, è indispensabile avere laboratori dove poter far la pratica! Come si può far scienza, tecnologia e altro se non sperimentando? La società dovrebbe poter dare alle donne maggiori spazi e nel migliore dei modi, ricordando che loro non sono solo l'origine del mondo, ma soprattutto sono il motore”.
Un contributo importante può arrivare dall’Europa: circa un mese fa è stata lanciata la campagna “Science: it’s a girl thing!”, per discutere e promuovere il ruolo e l’importanza della donna in ambito scientifico.
Chiara Del Priore
23 agosto 2012
Foto di IdahoNationalLaboratory