ILO: tutta l’Europa paga il prezzo della crisi

Come ha influito la crisi economica e finanziaria nei sistemi occupazionali europei? Se lo è chiesto l’ILO (International Labour Organization – Organizzazione internazionale del lavoro), che nel rapporto Work inequalities in the crisis: evidence from Europe (“Le disuguaglianze del lavoro durante la crisi: evidenze dall’Europa”) ha passato in rassegna l’andamento del mercato del lavoro in 30 paesi d’Europa, confrontando 14 ricerche e individuando alcuni elementi comuni.

Nella prima parte del documento sono messe a fuoco le principali criticità a livello internazionale. Partendo dalle tipologie di inquadramento contrattuale, il numero maggiore di “vittime” della crisi si registra più o meno ovunque tra i lavoratori atipici, tra cui, ad esempio, quelli con un contratto a tempo determinato, i lavoratori reclutati attraverso agenzie interinali e quelli con un part time.

Caso eclatante è la Spagna: il 90% dei disoccupati registrati negli ultimi anni rientra in questa categoria. Non va meglio neppure in Francia e Svezia, dove gli atipici che hanno perso il lavoro raggiungono percentuali elevate.

Delle fasce d’età la più colpita è quella giovanile: in questi casi, la disoccupazione è aumentata del doppio rispetto alle altre categorie. Un fenomeno evidente soprattutto nei paesi baltici e in Irlanda e Spagna. Un dato che, sotto certi aspetti, si collega al precedente, visto che il più delle volte i lavoratori con contratto a termine sono giovani.

In generale, a pagare il prezzo della crisi sono più gli uomini delle donne, soprattutto perché tra i settori maggiormente colpiti dai tagli ci sono quelli della costruzione e della produzione, dove la maggior parte degli addetti è di sesso maschile.
Complessivamente, si assiste a un calo degli stipendi un po’ ovunque: un dato, secondo gli autori del rapporto, legato anche alle politiche alternative al licenziamento, adottate in molti paesi europei, come la riduzione dell’orario di lavoro.

Come hanno reagito le istituzioni? Nonostante il quadro poco confortante, si segnalano alcuni casi di politiche di successo adottate dai singoli paesi sul fronte lavoro. Tra queste, il caso della Svezia, che ha stabilito delle misure a favore dell’occupazione giovanile, o la Germania, che ha favorito l’orario di lavoro ridotto. Ma va evidenziato soprattutto l’esempio italiano: secondo l’ILO, il nostro sistema di cassa integrazione ha contribuito a contrastare gli effetti negativi della disoccupazione ed è considerato una best practice. Tuttavia, le ultime notizie relative al mercato del lavoro non sono rassicuranti: secondo l’Inps, infatti, a gennaio 2012 si è registrata una riduzione di questo strumento del 26,7% rispetto a dicembre dello scorso anno e dell’8,5% in confronto a gennaio 2011. Inoltre, si discute sempre di più di soluzioni alternative, basti pensare al dibattito sul reddito minimo garantito, oggi non previsto in Italia.
Nonostante nell’immediato si sia rilevata uno strumento indispensabile, non è da escludere che in futuro la cassa integrazione potrebbe non bastare più e rendere necessari altri interventi sul fronte welfare.

Chiara Del Priore

7 marzo 2012

Foto di marketingfacts


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