Il precariato è donna

Che negli ultimi quattro anni si sia registrato un aumento della disoccupazione nel nostro Paese non è una grande notizia. L’ultimo rapporto Ires-Cgil “Scenario della crisi. Un mercato del lavoro sempre più atipico” è utile, però, per capire cosa si intende per mancanza di lavoro e chi sono oggi i disoccupati.
Dal 2007 al 2011, le persone senza occupazione sono state complessivamente otto milioni, 3,5 con riferimento solo all’anno scorso. Un numero significativo, che abbraccia tutto il periodo della crisi economica e lo sintetizza in pieno.

Queste cifre non comprendono, però, solo i disoccupati “puri” (l’Istat identifica il tasso di disoccupazione come binomio tra ricerca attiva di un lavoro e disponibilità a lavorare). Il documento parla di disoccupazione “allargata”, che contempla anche i cosiddetti “inattivi in età da lavoro”, ossia, per definizione, quelle “persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni, che non svolgono attività produttiva e non sono comprese nella categoria dei disoccupati”. In questi rientra chi non cerca attivamente lavoro, ma sarebbe disponibile a lavorare, se ce ne fosse la possibilità, chi cerca attivamente lavoro ma non sarebbe immediatamente disponibile a lavorare e chi non cerca lavoro, ma accetterebbe un’offerta se capitasse. Dove per ricerca attiva di lavoro, sempre l’Istat intende l’aver avuto, entro le due settimane precedenti il momento dell’intervista, un colloquio di lavoro, un contatto con un centro pubblico per l’impiego o l’aver partecipato a un concorso pubblico o essersi affidati a un annuncio sul giornale.
Al di là delle definizioni, il dato non cambia e, a disoccupati e inattivi, si aggiungono anche quelli che l’Ires chiama gli “scoraggiati”, vale a dire chi rinuncia alla ricerca di un’occupazione nella convinzione di non riuscire a trovarla: un esercito consistente, se si pensa che nel 2010 erano il 10,1% degli inattivi in età da lavoro, pari a quasi un milione e mezzo di persone.

Un pessimismo comprensibile alla luce non solo della crescente disoccupazione, ma anche di un altro preoccupante dato: il lavoro è sempre più precario e il contratto a tempo indeterminato rischia di diventare solo un miraggio per molti. Facendo riferimento alla regioni del centro Nord, si è passati dal 23,6% del 2008 al 18,9% del 2010, con redditi in discesa: il 54,9% degli interinali guadagna meno di 10mila euro annui. In tempi in cui molte aziende rischiano il fallimento o sono in crisi, garantire il lavoro “a vita” diventa difficile e le cosiddette forme contrattuali “flessibili”, con vincoli meno stretti per il datore di lavoro, ma minori garanzie per il dipendente, stanno diventando ormai la normalità. A farne le spese, secondo il rapporto, sembrano essere soprattutto le donne: del 42% di lavoratori interinali che è passato dal contratto a termine al tempo indeterminato, la maggior parte è composta da uomini. Conquista questo traguardo, infatti, il 47% degli esponenti del sesso forte rispetto al 38% delle donne, specialmente se di età compresa tra i 30 e i 39 anni, laureati e residenti nel Nord-Ovest.
Si parla spesso di politiche a favore dell’occupazione femminile. Basti pensare al sostegno all’imprenditoria o al piano annunciato due anni fa dagli ex ministri del Lavoro e delle Pari Opportunità Sacconi e Carfagna, che puntava proprio a diminuire il divario occupazionale tra uomo e donna attraverso misure utili a conciliare lavoro e famiglia e sgravi fiscali sul lavoro femminile nel Mezzogiorno. Evidentemente, però, non sono sufficienti.

Chiara Del Priore

6 dicembre 2011

Foto di kla!


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