Lo scorso 27 giugno la Camera ha approvato la riforma del lavoro. Il testo licenziato da Montecitorio interviene, tra l’altro, su alcuni punti fondamentali per l’ingresso dei giovani, come la cosiddetta flessibilità in entrata.
Sotto la lente di ingrandimento delle nuove disposizioni sono passate tutte le forme contrattuali che dovrebbero favorire l’accesso al mondo del lavoro.
Un’attenzione particolare è dedicata all’apprendistato, già riformato dal decreto legislativo 167/2011, meglio noto come Testo unico dell’apprendistato, entrato in vigore lo scorso 25 ottobre e a cui il nostro magazine aveva riservato un’approfondimento, Il testo conteneva definizione, tipologie, durata e soggetti coinvolti nella regolamentazione dell’apprendistato.
Cosa cambia oggi rispetto al decreto dello scorso ottobre? Innanzitutto il nuovo testo introduce una durata minima del contratto “non inferiore ai sei mesi”. Quanto alla durata massima, resta valido il termine di tre anni già stabilito, che può estendersi fino a cinque per le professioni dell’artigianato.
Una seconda novità è relativa al numero complessivo di apprendisti che un lavoratore può assumere: esso “non può superare il rapporto di tre a due rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”. Tale rapporto, però, “non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiori a dieci unità”: in questo caso, quindi, resta valida la proporzione di uno a uno, sancita del Testo Unico. Infine, “il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumer apprendisti in numero non superiore a tre”.
Altro elemento innovativo della riforma riguarda l’assunzione di nuovi apprendisti: la riforma stabilisce che “l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro”. Tuttavia, “qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati o di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi”. Tale disposizione non era presente nel Testo Unico.
Il governo Monti prosegue sulla scia del precedente Esecutivo che, prima con il Piano Italia 2020, e poi con il decreto legislativo di ottobre, ha puntato su questa tipologia contrattuale. L'obiettivo è di incoraggiare le imprese ad assumere apprendisti attraverso una politica di sgravi fiscali, a scapito di altre forme di inserimento lavorativo, come lo stage o il contratto a progetto, più “popolari” soprattutto perché meno gravose per i datori di lavoro. I giovani, d’altro canto, dovrebbero beneficiare di un contratto più lungo e, quindi, teoricamente più stabile.
Ma attualmente quanti sono gli apprendisti under 30 (l’apprendistato coinvolge giovani tra i 15 ei 29 anni)? Secondo gli ultimi dati Isfol solo il 15% delle assunzioni è fatta con contratto di apprendistato. Un numero sicuramente non rilevante. Sarà sufficiente la riforma a cambiare le cose? E soprattutto basterà l’apprendistato?
Chiara Del Priore
3 luglio 2012
Foto di ToyotaUK